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IL PAPAVERO – MESSAGGIO DI PRIMAVERA di Giuseppe Fichera
“Ciò che l’impressionismo ha il potere di conservare è la delizia di avere ricreato la natura tocco a tocco. Mi accontento di veder riflesso nello specchio limpido e duraturo della pittura quanto perennemente vive, ma muore ogni istante.” Così, nel 1876, scriveva il poeta francese Stéphane Mallarmé.
Erano trascorsi appena due anni dalla prima esposizione collettiva dei pittori impressionisti. La rassegna, allestita a Parigi nello studio del fotografo Nadar, aveva generato lo sconcerto del pubblico e l’indignazione della critica. In quella mostra Claude Monet aveva presentato, tra l’altro, una tela intitolata “Les coquelicots d’Argenteuil” (“I papaveri di Argenteuil”), ed i giudizi erano stati tutt’altro che benevoli nei suoi confronti. Oggi quel dipinto è considerato un capolavoro, uno dei più celebri quadri della corrente impressionista, un'esemplare interpretazione della pittura “en plein air”, all’aria aperta, un trionfo della natura.
Per Monet dipingere le bellezze paesaggistiche era una necessità dell’anima. In pittura, così come in fotografia, è vitale trovare soggetti che abbiano il potere di provocare stupore, e i lavori di Giuseppe Fichera sono una palese conferma di questo assunto.
Fichera, come Monet, s’è lasciato affascinare dall’armoniosa semplicità di un campo costellato dal rosso dei papaveri e lo ha interpretato secondo la sua sensibilità, dando libero sfogo alle sue sensazioni ed ai suoi impulsi. Sono così nate immagini di pregevole impatto, essenziali negli elementi, accattivanti nei tratti compositivi e fiammeggianti nelle intonazioni cromatiche.
Il papavero è una pianta effimera, delicata, un fiore senza nettare. Gli antichi l’avevano consacrato a Morfeo, dio del sonno, per le sue proprietà ipnotiche, ma la sua autentica magia risiede nella forza attrattiva che emana, il suo incantesimo sta nella sua innegabile capacità di seduzione.
Giuseppe ne è rimasto ammaliato e, quasi a voler esorcizzare la caducità della sua bellezza, ne ha fermato, per sempre, l’atavico splendore.
Trieste, gennaio 2004
Fulvio Merlak (Presidente della FIAF)