In memoria di Gabriele Basilico ripubblichiamo un'intervista che gli fece Mariateresa Cerretelli in occasione della sua mostra su Instambul nel 2010, dove l'autore delinea bene il suo approccio al progetto.
Gabriele Basilico guarda sempre alle città come corpo fisico in perenne movimento e metafora degli aspetti sociali del nostro tempo?
GABRIELE BASILICO: E’ un mio metodo costante e continuo che si evolve
di volta in volta in rapporto allo spazio e al tempo. Appartiene ad un
atteggiamento più generale in cui mi domando come si fa oggi a
raccontare con la macchina fotografica una città , specialmente quando
una città acquista una dimensione come quella di
Istanbul. La mia fotografia è una specie di sonda che si muove in luoghi
che mi interessano e che sono quasi sempre quelli della trasformazione
urbana, cioè dove la città cresce, cambia volto e prende forma. Cerco di
vedere anche l’aspetto antico, quello che sparisce , quello che
sopravvive e quello che avanza. Questo lavoro su
Istanbul non poteva che essere fatto per una strategia di piccoli
campioni, presi in punti diversi della città che non fossero i grandi
monumenti o le classiche immagini della città che vengono veicolate.
Intendevo trovare parti
per me più evocative e personali. Ho ricordato un viaggio in macchina
nel 1970 quando non ero ancora fotografo dove con Giovanna (Calvenzi)
abbiamo attraversato tutta la Turchia e l’Iran e la tappa più importante
è stata Istanbul. Nel 1970 a Istanbul, per andare da Ovest a Est
c’erano i traghetti, non c’erano ponti, un po’ come lo Stretto di
Messina. Adesso ci sono due ponti enormi, come a San Francisco, con un
traffico intensissimo. E tutto l’Est si estende per chilometri su una
sorta di terreno collinare.
Quindi abbiamo questa città estesa , periferie, luoghi dell’estremo e di
nuova urbanizzazione e tutta quella zona di case vecchie della Istanbul
ottocentesca, fatta anche di case di legno lungo il Bosforo.
Cosa è rimasto della tradizione e quali aspettative del futuro si riflettono nella città attraverso le tue immagini?
GABRIELE BASILICO: Per rispondere bene a questa domanda, bisognerebbe
avere un osservatorio scientifico. Questa città ha raggiunto, secondo
le guide, 15 milioni e oltre di abitanti ma che arrivano forse a 20
probabilmente. E’ una megalopoli che cresce ogni giorno e i cantieri
producono a getto continuo volumetrie nuove. Diventerà come è diventata
Il Cairo o come Mosca. Tra l’altro conta su una popolazione giovane e
quindi avrà un grande sviluppo. Mi dà la sensazione di una città un po’
caotica, sopratutto nel centro, ma sta mettendo tanta energia. Il futuro
è suo. Cosa rimane? Secondo me rimarrà poco. L’atteggiamento
conservativo non è molto considerato. Mi è sembrato che qualche palazzo
fosse in restauro, però su iniziative private. Una megalopoli molto
vitale comunque che contiene tutto. Ha il mare, il Corno d’Oro e ancora,
in mezzo al suono della città, soffocato dal rumore della metropoli, si
sente forte e insistente la voce del muezzin.
Com’è il cuore di Istanbul, visto con il tuo cuore di fotografo?
GABRIELE BASILICO: Adesso si deve andare a cercare. Quando si arriva in aereo, la prima impressione è forte. Poi si scende, si va per piccole location diverse per arrivare nel cuore delle moschee, risalire il Corno d’Oro e andare a vedere dove era Pierre Loti. Le mie emozioni di 40 anni fa non si possono paragonare a quelle dei visitatori di oggi. Ricordo che quando arrivavi con il ferry e mettevi giù i piedi nell’Est, si diceva con un’aria sentimentale e di complicità: “Ma siamo all’Est del mondo, di là è l’Europa , di qua è l’Asia e la terra è uguale, divisa da un solco di mare” Però ti sembrava che di qui ci fosse più polvere in giro e che i muezzin avessero l’altoparlante più forte. Oggi tutto questo non c’è più .Un po’ perché mi sono immerso nella città che si sta proiettando verso il futuro e poi perché mi sono reso conto che questi due ponti che connettono tonnellate di acciaio e di auto al giorno sono due tapis roulant che congiungono la stessa città.
Mariateresa Cerretelli