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Fortunatamente infondate le funeree previsioni di Paul Delaroche1, la pittura e la sua baudelairiana ancella2 scoprono, in un bivio ambiguo e attraente, di poter concepire, con pari contributo e dignità, quella che parrebbe un’avverabile forma nuova di esistenza. Una mutazione genetica3, forse. Germoglio di proiezioni ottiche, traduzioni numeriche e di una prolifica mente creativa: un demiurgo affabulatore, un dio femmina dalla visione espansa, oltre la realtà manifesta nel tempo presente. Una vista alta che scruta, al di là del visibile nell’immediato dello scatto, l’universo sfuggente della fantasia. Negli anfratti più segreti della psiche che né la fotografia né il segno imitatore e infedele del pennello garantiscono, da soli, di poter restituire: perlomeno non come fa Anke Merzbach. Il suo “sguardo futuro”, che si posa ora per vedere poi, prosegue nelle fasi di postproduzione a ultimare il processo di nascita di un’immagine “seconda”. Una gestazione lenta che comprende l’uso di simboli e segni di diversi linguaggi. Oggetti onirici, vetri, insetti, scale, maschere, capigliature rosso fiamma o verde erba, uomini col cilindro e una donna con un seno solo s’incontrano – direbbero Ernst o Ducasse4, con la stessa coerenza di “una macchina da scrivere e un ombrello su un tavolo operatorio”. Superfici irregolari si frappongono per filtrare figure e scene, allontanandole quanto basta da una presa d’atto troppo forte della realtà. Si potrebbe essere tentati di svolgere una lettura psicanalitica di questi lavori. Dopotutto queste impressioni hanno evidenti richiami simbolici. Ma a che pro? Non sono macchie di Rorschach utili per un’indagine sulla personalità (nostra o di Anke) ma opere d’arte da godere nel loro fascino indefinito; nella concretizzazione degli input di quella “mente nascosta” nella quale risiedono processi cerebrali che sfuggono alla coscienza e sono la vera forza motrice dell’azione creativa. C’è, naturalmente, una parte razionale che sovrintende al progetto: nelle scelte scenografiche, dei costumi, nella direzione dei modelli (non professionisti, persone comuni, dice la Merzbach) e nel controllo, preciso e sopraffino, delle pratiche di postproduzione. Ma c’è soprattutto la messa in opera di situazioni che appaiono come allucinazioni: recuperi dell’inconscio e delle sfumature del sogno. In tale direzione risulta efficace l’uso di tecniche elaborate. L’acquisizione fotografica che sta all’inizio del procedimento, con la sua valenza di indice, è l’ancoraggio alla realtà che poi viene negato - anzi, traslato - in una dimensione fantastica, creata in certa misura dalla manipolazione digitale. La bildmacherin - o creatrice d’immagini, così si autodefinisce la nostra autrice – coniuga abilità appartenenti a discipline differenti per risultati dal sapore misterioso: l’inganno realistico della fotografia e l’invenzione autonoma dell’appressamento pittorico si sposano in un linguaggio personale che permette all’immaginario di darsi forma e sostanza. Entriamo così in un mondo parallelo e incantato, dove il demone allucinato di Anke rende “immaginifiche le cose che non possono esserlo”. “Spesso lo sono i sentimenti della notte”5 dice l’artista, e prosegue “… amo le immagini silenziose, dove la musica è di sottofondo. Escono senza estremi e senza colori (…) e non arrivano all’uomo. I suoni leggeri non vengono percepiti”. (…) “Non ho modelli nella storia dell’arte. Mi faccio ispirare da me e dalla mia vita (…) da incontri con uomini o con oggetti. (…) Una scala, un orologio, un recinto suscitano consapevolmente o inconsapevolmente una pluralità di sentimenti. (…). E proprio qui, in relazione alle emozioni che le sue opere a molti trasmettono, che sta la grande colpa di questa autrice: nel consentire a chiunque – con imperdonabile noncuranza - il libero accesso alle sue mostre, anziché prudenzialmente scrivere, bene in risalto su un cartello, “vietato l’ingresso a chi soffre della Sindrome di Stendhal”.6
(Leonardo Muscas)
(1) Paul Delaroche non aveva la stoffa di Nostradamus: l’epitaffio nonché affermazione profetica “da oggi la pittura è morta” pronunciata (si dice) in occasione dell’annuncio della nascita della fotografia, non sembra essersi avverata. L’immagine prodotta dalla macchina, lungi dal decretare la dipartita di quella fatta a mano, comportò, come sappiamo, la liberazione della pittura dagli obiettivi di “riproduzione fedele della natura”. Non fu l’inizio della fine ma l’input per la nascita di nuove correnti artistiche.
(2) Chissà quanto volte, in questi anni, Charles Baudelaire si è rivoltato nella tomba. Già in vita mal sopportava “la fotografia, un’invenzione dovuta alla mediocrità degli artisti moderni.” E specificava: “Se si consente che la fotografia supplisca l’arte in alcune delle sue funzioni, in breve essa l’avrà soppiantata o completamente corrotta, in virtù della naturale alleanza che troverà nell’idiozia della massa. Occorre dunque che essa torni al suo vero compito, che è quello di essere l’ancella delle scienze e delle arti, ma l’ancella piena di umiltà”. Può darsi che il nostro intellettuale riposi meglio, ora che sulla scena dell’arte è presente Anke Merzbach. Dopotutto Baudelaire contestava soprattutto “il gusto esclusivo del Vero (che) soffoca e reprime il gusto del Bello” e diceva anche: “il pittore diventa sempre più incline a dipingere non già quello che sogna, ma quello che vede” così da inibire “le possibilità immaginative dell’uomo”. E sottolineava poi: “inserendosi in un contesto del genere, la fotografia ha soltanto peggiorato i canoni dell’estetica collettiva”. Forse non ce l’aveva tanto coi fotografi e con la fotografia quanto con gli artisti commerciali dei suoi tempi che cercavano il successo presso “un pubblico assetato di dettagli”. Il diavolo e Baudelaire non sono poi così cattivi (o brutti) come li si dipinge.
(3) Beh, magari non siamo di fronte a un salto evolutivo però queste immagini camminano in una imprecisata linea di confine tra fotografia e pittura. Io sono tra coloro che pensano che la tecnica elettronica-digitale non abbia, almeno finora, mutato l’identità della fotografia (intesa come cattura, acquisizione, prelievo di emanazioni luminose del mondo fisico) rispetto all’era chimica (il suo uso, grazie a Internet, ai videofonini, ai siti di condivisione, invece si.) Però non mi azzardo a fare previsioni per il futuro che finirebbero, credo, come quelle dei due amici francesi delle precedenti note. Cosa accadrà? Si discuterà ancora dello specifico fotografico? Si parlerà ancora di fotografie pittoriche e di pitture fotografiche oppure le contaminazioni tra linguaggi saranno d’uso così comune da eliminare ogni distinguo? Forse sarà coniato un nuovo termine oppure la stessa parola estenderà il suo significato originario di “scrittura di luce” diventando “scrittura di luce e pixel”, questi ultimi più o meno generosamente photoshoppati?
(4) Max Ernst, surrealista. Isidore Ducasse, poeta maledetto alias Conte di Lautréamont che i surrealisti consideravano loro precursore.
(5) Le parole di Anke Merzbach, virgolettate, sono estrapolate dall’intervista di Giorgio Tani, pubblicata sul libro Bildmacherin Maria Pacini Fazzi Editore.
(6)
La mostra è un luogo pericoloso ove ci si può infortunare
in molti modi. Partecipando con troppa foga al buffet, ad esempio, un boccone
può andare di traverso. Avvicinandosi troppo ai quadri, uno di essi, se appeso
al muro con un chiodo debole, potrebbe staccarsi e cadere su un piede. E poi,
guai a lasciarsi andare a commenti di dispregio verso le opere di un artista
nerboruto e irascibile! Ma niente di tutto questo è paragonabile alla Sindrome
di Stendhal (che neppure descrivo per non impressionarvi) che colpisce alcuni
fruitori, particolarmente sensibili, dinanzi a opere di straordinaria
bellezza.
Le fotografie qui presentate, nel rispetto del
diritto d'autore, sono riprodotte per finalità di critica e discussione ai
sensi degli artt. 65 comma 2, 70 comma 1 e 1 bis e 101 comma 1 Legge
633/1941.
Il copyright è di Anke Merzbach www.ankemerzbach.de/
Titolo del libro: Bildmacherin. Autrice: Anke Merzbach. Editore: Maria Pacini Fazzi.
Testi in italiano e tedesco. Prefazione di Libero Musetti. Intervista all’autrice a cura di Giorgio Tani. Ulteriori testi di Anke Merzbach, Olaf Parusel e Klaudia Winiarski.
Dimensioni: cm. 23 x 21. Pagine: 132. Foto: 80. Edizione: 2008. Prezzo: € 15,00.